
Grano “antico” vs. Grano “moderno”: il confine inesistente
Ultima modifica: 06/02/2019Con questo articolo di Nicoletta Ferrini vogliamo mettervi a disposizione alcuni strumenti per informavi, sfatare falsi miti e si darvi anche due nozioni storiche per quanto riguarda tutto il tormentone “Antico” Vs “Moderno”
La prima cosa che c’è da sapere sul grano “antico” è che, da un punto di vista squisitamente scientifico, non esiste. Questo perché, come spiega Sergio Saia, ricercatore del CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e analisi dell’economia agraria), “la definizione di antichità si dovrebbe ancorare al momento in cui una specie, animale, vegetale o d’altro tipo che sia, scompare dall’ecosistema e non dal momento in cui si riesce a far risalire la sua prima apparizione”. Tuttavia, anche ammettendo che sia possibile riuscire in quest’ultima, tutt’altro che semplice, impresa ovvero volendo del tutto ignorare questo criterio, resta il fatto che, a tutt’oggi, non c’è alcun consenso rispetto a cosa sia davvero un grano “antico”.
C’è, infatti, chi ritiene che tale definizione debba essere attribuita esclusivamente alle specie di frumento naturali che hanno dato origine, dopo domesticamento, alle varie tipologie di frumento coltivato. Tale domesticamento è avvenuto all’incirca novemila anni prima di Cristo nella Mezzaluna Fertile, cioè la zona tra Iran e Iraq. Qualcuno sostiene che siano “antiche” solo le specie di frumento diploide, che si sono fuse tra di loro per dare origine ai frumenti duri (tetraploidi) e teneri (esaploidi) attuali e meno attuali. Gli stessi non ritengono antichi quelle tipologie che sono invece il risultato di incroci naturali tra piante diverse (tetrapolidi ed esaploidi). Alcuni, infine, asseriscono che possano definirsi “antichi” quelle tipologie (varietà e popolazioni coltivate) di grano – non solo diploidi, ma anche tetraploidi ed esaploidi – che non siano stati oggetto di “ibridazione” da parte dell’uomo e successiva selezione. In realtà, l’ibridazione tra diversi genotipi, non è affatto una pratica inventata dall’uomo, ma esiste in natura, sia nei frumenti, sia in quasi tutte le specie viventi. In quest’ultimo senso, “antico” diventa quindi qualsiasi grano coltivato prima degli Anni ’20, antecedente cioè alle esperienze fatte dall’agronomo e genetista Nazzareno Strampelli. “In un contesto storico in cui l’obiettivo era sfamare una popolazione crescente, il lavoro di Strampelli – spiega Sergio Saia – era principalmente indirizzato all’individuazione, attraverso l’incrocio e la successiva selezione della progenie, di nuove varietà di piante che si dimostrassero più produttive per diverse ragioni, tra cui la taglia (altezza) della varietà, il momento della spigatura e la resistenza ai funghi patogeni”. Ed è proprio il lavoro iniziato ormai quasi un secolo fa dal genetista italiano ad offrire alcune coordinate su quello che potrebbero essere le caratteristiche del grano “antico”. “Senza arrivare mai a definirle come standard dei grani “antichi”, possiamo spingerci a dire che tutte le specie e varietà (sia esse di-, tetra- o esaploidi) esistenti prima degli attuali ibridi moderni (che sono prevalentemente tetraploidi ed esaploidi) presentavano alcune caratteristiche ricorrenti”, illustra Saia.
Il primo di questi criteri è appunto l’altezza: quando Strampelli inizia il suo lavoro, le spighe di grano superano di norma il metro e mezzo, arrivando in alcuni casi anche fino e 2 metri di altezza. “Strampelli nota che le piante, o meglio le linee, più basse producono di più e decide quindi di selezionare le varietà di frumento più produttive – racconta il ricercatore del CREA. – Incrociando diverse tipologie tra le più basse arriva ad ottenere varietà con un’altezza della spiga a 1,4 metri circa. Oggi, mediamente una spiga è alta tra i 70 e gli 80 cm. Il vantaggio delle piante più basse, – continua Saia, – è duplice: tendono ad “abbattersi” più difficilmente di quelle alte. Tale abbattimento è chiamato “allettamento” e riduce la produzione e la qualità, in quanto avvicina la spiga al terreno, piegando lo stelo (che nei cereali si chiama culmo). Ciò riduce la traspirazione e rende la pianta più soggetta all’attacco dei funghi patogeni. Abbassando le piante, si riduce non solo l’incidenza di questo fenomeno, ma anche la produzione di paglia a tutto vantaggio di quella di granella”. Le varietà moderne hanno infatti la stessa capacità di fotosintesi complessiva delle antiche, ma le antiche investono più risorse nella paglia e meno nella granella.
Un altro elemento su cui si concentra il lavoro di Nazareno Strampelli è la data di spigatura. “Quasi tutte le tipologie di grano precedente avevano una data di spigatura avanzata (anche fine Maggio/inizio Giugno). Strampelli cerca di anticipare il tempo spigatura per avere la granella quando il clima è più fresco e cioè quando c’è più acqua nel terreno, per permettere alla pianta di produrre di più. Purtroppo, su questo fronte, l’attività di Strampelli è stata modesta in quanto non aveva i materiali adatti per anticipare notevolmente la data di spigatura. Inoltre, tale caratteristica è importante soprattutto negli ambienti caldo-aridi, ma l’attività di Strampelli era rivolta anche agli ambienti freschi come il nord Italia”.
Negli Anni ’50, con la nascita dell’industria di pane e pasta, entra in campo un nuovo elemento: la necessità di avere farine e semole con elevata tenacità, vale a dire la capacità del grano macinato di trattenere all’impastamento l’amido in una maglia di proteine. Quest’ultima è infatti un complesso formato dalle proteine naturalmente contenute nel chicco di grano, cioè glutenina e gliadina, quando queste vengono lavorate in presenza di acqua. A contatto con l’acqua e per l’azione della lavorazione, le due suddette proteine reagiscono formando una struttura a griglia o maglie chiamata glutine. Nella fase dell’impasto, quest’ultimo crea, all’interno della massa di acqua e farina o semola, un reticolo capace di trattenere gli amidi ed parzialmente i gas generati dalla fermentazione. Tanto più fitta è la “maglia”, tanto maggiore è la tenacità dell’impasto, ossia la sua capacità di resistere alle sollecitazioni. I grani “moderni” sono dunque il frutto di un’accurata selezione, fatta tra piante più basse, meno tardive (per gli ambienti caldi) e con glutine tenace. Ovviamente esistono grani moderni con glutine poco tenace e relativamente tardive, messi a punto per usi e ambienti ben determinati.
Sebbene queste caratteristiche definiscono la direzione selettiva del grano moderno, tuttavia, come precisato anche da Sergio Saia, non bastano a definire per contro i grani “antichi”, né tanto meno ad esaurire la più recente discussione sul legame tra grano moderno e problematiche legate al consumo di alimenti contenenti glutine. “I promotori del grano “antico” fanno leva, in particolare, su due caratteristiche del grano moderno: altezza contenuta e tenacità del glutine elevata – descrive Saia. – Alcuni sostengono che, a parità di infestanti, le piante più alte resistano meglio all’attacco delle malerbe. Non è del tutto falso, perché la maggior ombra esercitata dalle piante alte riduce la crescita delle infestanti. Il punto però è che, al netto delle malerbe, la produzione di una varietà a taglia bassa è molto maggiore di una a taglia elevata” riducendo così, a parità di produzione, il consumo di suolo.
Il secondo tema, quello del glutine, è il più spinoso perché, in tempi recenti, ha contribuito ad alimentare molti “falsi miti”: “C’è chi afferma che il glutine dei grani moderni, più tenace, sia per questa ragione meno digeribile di quelli antichi, meno tenace, e che quindi faccia più male e possa contribuire ad aumentare o addirittura a scatenare la celiachia e le intolleranze al glutine, – indica Sergio Saia. – Niente di più falso! La reazione propria della celiachia a livello intestinale non avviene nei confronti di tutto il glutine, ma di suoi frammenti, chiamati “epitopi tossici”. Questi ultimi si trovano nelle glutenine e nelle gliadine. E’, però, in queste che si trovano la gran parte e/o quelli che determinano una reazione intestinale più forte. Ironicamente, con il miglioramento genetico, ottenuto grazie alla selezione ed all’incrocio genetico, abbiamo ottenuto varietà di frumento con più glutenine e meno gliadine in quanto sono proprio le glutenine e non le gliadine che favoriscono la tenacità dell’impasto”. C’è dunque la possibilità che il grano “antico” faccia più male per via del maggior rapporto tra gliadine e glutenine.
Un’altra affermazione discutibile è che la diffusione demografica della celiachia viaggi di pari passi con la progressiva selezione delle varietà di grano e frumento. La celiachia sembra stare oggettivamente aumentando e ciò non dipende solo dal miglioramento delle capacità analitiche (migliore diagnosi e accesso alle cure) che, di fatto, ci permettono oggi di avere dei risultati in merito che prima non potevamo avere. Tuttavia, attribuire questo incremento alle varietà moderne è un’impresa alquanto ardua per diverse ragioni, come spiega Saia: “innanzitutto, come detto, i grani moderni hanno meno gliadine, che contengono la gran parte degli epitopi tossici. In secondo luogo, mangiamo molto meno glutine di un tempo: la quantità di prodotti amilacei consumati si è infatti ridotta notevolmente per via del cambio dello stile di vita (adesso il fabbisogno medio è inferiore al passato, quando una grossa fetta della popolazione era impegnata in lavori manuali). Anche la tipologia di prodotti amilacei consumati è cambiata, visto l’attuale ricorso a farine abburattate (ossia con ridottissimo contenuto in fibre dovuto alla rimozione della parte cruscale dopo la molitura) e il cambio dello stile di vita ha comportato un cambiamento di diverse patologie, non solamente quelle autoimmuni, tra cui quelle relazionate all’alimentazione. Le migliori condizioni di vita attuale hanno inoltre, fortunatamente, aumentato l’aspettativa di vita e ridotto in maniera drastica le morti in età infantile, soprattutto quando la presenza di morbo celiaco non diagnosticato può portare a morte. I confronti che stabiliscono in aumento la prevalenza della celiachia sono comunque stati fatti su campioni di sangue conservato, tuttavia su ciò incidono due potenziali problemi di stima, ossia una diversità tra i campioni di conservati e attuali per quanto riguarda l’età, lo stile di vita e le caratteristiche generali dei soggetti (immaginate di confrontare la forza fisica di 800 adulti e 200 bambini attuali rispetto a quella di 200 adulti e 800 bambini di una volta e non tenere conto dell’età dei gruppi nel confronto) e l’uso di nuovi strumenti diagnostici che portano a risultati potenzialmente diversi nelle analisi al punto che un gruppo di ricerca dell’università di Pavia ha messo in dubbio la validità di certi confronti già alcuni anni fa (Annals of Medicine, 2010; 42: 557–561). In sintesi, – conclude Sergio Saia, – c’è la probabilità che nel passato chi soffriva di malattie legate al consumo glutine potesse morire prima ancora che si riuscisse a circoscrivere le cause del fatale deperimento e attribuirlo al morbo celiaco”.
C’è in tutto ciò un altro aspetto importante: “la nostra dieta è oggi abbondante, ma – ahimé – spesso povera di fibre. Le diete ricche di fibre (frequenti in passato) favoriscono la motilità intestinale ed in sostanza diminuiscono il tasso di permanenza di alcuni componenti nel nostro organismo. È inoltre aumentata la sedentarietà. Molti lavori di ricerca sono concordi nel definire una grande fetta di celiaci come non diagnosticati. Tuttavia l’assenza di questa diagnosi è dovuta in parte all’accesso alla diagnosi stessa e probabilmente, un tempo, quando la sedentarietà era minore rispetto ad oggi, ciò avveniva. Per queste ragioni è difficile attribuire tale variazione al glutine delle varietà moderne”.

Inoltre, va specificato anche che molte persone attribuiscono erroneamente ai grani antichi una minore capacità di indurre le intolleranze al glutine o al frumento. “Tali intolleranze sono malattie reali e diagnosticabili, – specifica il ricercatore del CREA. Tuttavia, la loro diagnosi è molto complessa e richiede importanti sforzi personali che non sempre si riesce a mettere in essere. Molti tra coloro che sostengono di essere intolleranti al glutine hanno tuttavia auto-diagnosticato la propria patologia, il che è ovviamente sbagliato. Inoltre, talvolta l’intolleranza non è nei confronti del glutine, ma di altre componenti del frumento che sono comunque presenti anche in alimenti senza glutine ma, per errore, viene attribuita l’intolleranza al glutine”.
Al di là delle convinzioni e delle “false credenze”, le differenze tra grano “antico” e “moderno” non sono solo poco chiare da un punto di vista scientifico, ma a conti fatti poco consistenti all’atto pratico. “In un contesto mediatico come quello attuale, il termine “antico” può però fare tantissimo dal punto di vista commerciale”, afferma Saia. Ci sono comunque alcune caratteristiche che possono rendere i grani antichi indirettamente interessanti per l’alimentazione moderna: “producendo meno granella, i grani “antichi” hanno una maggiore concentrazione di microelementi (ferro, zinco, ecc.). Ovviamente tale maggiore concentrazione può essere inutile in una dieta già ricca degli stessi elementi. Normalmente vengono consumati integrali e quindi offrono complessivamente un maggior quantitativo di proteine e fibre. Come nel caso precedente, va comunque specificato che esistono comunque i grani moderni integrali ai quali poter fare ricorso”.
E il sapore? “Le fibre possono in effetti contribuire al sapore. Quest’ultimo, però, dipende da molti fattori, tra cui la varietà del grano tutte le variabili del processo di trasformazione. I produttori di grani “antichi” sono attualmente una nicchia. Lavorare su una filiera corta, con metodi particolari, può incidere sul sapore. Un grano moderno, se lavorato seguendo logiche di filiera, ha eccellenti doti nutrizionali, un buon sapore e, se integrale, un ottimo contenuto di fibre”.
“I grani antichi sono una realtà, – afferma in conclusione Saia –, hanno determinate caratteristiche che possono essere anche valorizzate secondo diversi aspetti tra cui quello agronomico, della trasformazione e, ovviamente, anche del miglioramento genetico. Ma non hanno certamente doti miracolose, né in quanto antichi sono migliori dei moderni. Ricercarli solamente perché si pensa di mangiare un alimento curativo (spesso, peraltro, senza formalizzare correttamente la patologia) è indubbiamente sbagliato: la via migliore è scegliere gli alimenti che più ci piacciono, senza dar troppo peso al fatto che il frumento sia antico o moderno, in quanto le minacce per la salute provengono in massima parte da altri fattori, tra cui il fumo, l’alcool, la carenza di frutta e verdura nella dieta e l’eccesso di calorie, proteine, grassi e zuccheri semplici, la sedentarietà e diverse patologie legate a dieta e stile di vita..